Vietato educare (alla vita)
Proprio ieri mi è successo: in cortile, nella mia scuola. Ve la devo proprio raccontare.
Due ragazzi litigavano perché uno non la finiva di toccare i capelli all'altro, che non voleva essere toccato – ebbene sì: alle medie ti devi sorbire questo genere di casus belli, e vi assicuro che queste cose possono poi degenerare in minirisse molto difficili da sedare – e io, che passavo di lì, assisto alla formazione di un piccolo capannello di spettatori.
Mi faccio strada per capire cosa sta succedendo, quando uno dei due litiganti se ne esce con questo ignominioso affronto: “Frocio!â€.
Attonita, la folla all'insulto stava.
Mi avvicino, cerco di capire: chiedo all'insultante come mai consideri quel sostantivo un'offesa. E la risposta è di quelle che fanno cadere le braccia: “Perché sì!â€.
Basterebbe questo piccolo racconto di vita vera, con il termine omosessuale usato come affronto e con l'incapacità perfino di verbalizzare perché, per non avere dubbi di sorta: a scuola, l'educazione sessuo-affettiva non è qualcosa di accessorio. No: oggi sta diventando una vera emergenza nazionale.
Perché uno potrebbe pensare che di ragazzi che considerano il dare dell'omosessuale a un altro siano ormai una minoranza. Vi sbagliate, purtroppo. Come non sono una minoranza quelli che non capiscono cosa ci sia di male a fischiare a una donna, o a farle dei complimenti espliciti sul suo corpo, o addirittura a provarci in modo insistente senza il suo consenso. Come non lo sono quelli che confondono la gelosia con il possesso, l'amore con l'ossessione, la violenza con la passione.
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Con questo quadro sconfortante, chiunque con un po' di lucidità direbbe: be', meno male che c'è la scuola a riparare i danni di una mancata educazione!
Chiunque, sì. Ma non in Italia. Qui andiamo leggermente controcorrente.
Già , qui da noi abbiamo deciso una cosa curiosa: i ragazzi possono essere bombardati ogni giorno da pubblicità sessualizzate, canzoni esplicite, social pieni di corpi e allusioni. Ma se qualcuno prova a spiegare loro cosa tutto questo significhi davvero, quello no: diventa pericoloso.
È l'effetto di un emendamento appena approvato che esclude le scuole medie da ogni progetto di educazione sessuale e affettiva. Tradotto: non se ne deve parlare. E se proprio volete farlo, sarà alle superiori, e comunque serve l'autorizzazione di mamma e papà .
Nel 2025, nell'epoca in cui un dodicenne può accedere a qualunque contenuto sullo smartphone, lo Stato italiano decide che l'argomento “sessualità †è troppo delicato per essere affrontato a scuola. È come vietare la geografia perché qualcuno teme che i ragazzi scoprano che la Terra è rotonda.
E questa non è un'iperbole: basta fare due chiacchiere coi dodicenni di oggi per constatare che, nell'ambito delle emozioni, del consenso e della sessualità molti di loro sono ancora dei terrapiattisti. Ma la tragedia si consuma quando i terrapiattisti dell'educazione affettiva hanno potere decisionale.
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Altrove, nel frattempo, l'educazione sessuale si fa da decenni. In Svezia la insegnano dal 1955. In Finlandia è parte del programma scolastico, accanto alla matematica. In Olanda la chiamano “educazione alle relazioniâ€: non serve a spingere i ragazzi verso nulla, ma a dare loro le parole per capire ciò che già vivono.
E no, non è successo il temuto disastro morale. È successo che sanno rispettarsi di più, che le gravidanze indesiderate sono calate, che la parola “consenso†è entrata nel vocabolario di tutti.
Da noi invece si preferisce una cura un po' originale: silenzio, rimozione, tabù.
È l'idea che “non parlarne†significhi proteggere. Come se ignorare qualcosa l'avesse mai fatto sparire. Abbiamo paura che dare nomi alle cose voglia dire sporcarle. O addirittura: indottrinare i ragazzi verso spaventose derive gender, qualsiasi cosa voglia dire. Così finiamo per consegnare i nostri figli a un'educazione parallela fatta di pornografia, pregiudizi e miti tossici — quella che non chiede consenso, non parla di rispetto, non conosce limiti né emozioni.
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A scuola si insegna il ciclo dell'acqua, la fotosintesi, la storia del mondo. Ma il ciclo del corpo e delle emozioni, quello no. Meglio che resti misterioso, magari anche un po' sporco, qualcosa che si scopre da soli o con gli amici, ridendo.
Sono proprio curioso: ma di cosa avete paura? Cosa pensate possa succedere, se in classe parliamo di rispetto, se insegniamo a riconoscere le emozioni, a dare loro un nome?
E allora ecco il risultato: un Paese che parla ogni giorno di femminicidi, violenza di genere, abusi, ma poi decide di non fornire ai ragazzi gli strumenti per prevenirli. Un Paese che dice di voler proteggere i giovani, ma in realtà protegge solo le proprie paure.
Ci illudiamo di salvaguardare la purezza, e invece stiamo coltivando l'ignoranza. Così non stiamo proteggendo i bambini dai pericoli del mondo. Stiamo solo proteggendo gli adulti dal dover ammettere che il mondo è cambiato.
L'AUTORE – Enrico Galiano, insegnante e scrittore friulano classe '77, in classe come sui social, dove è molto seguito, sa come parlare ai ragazzi.
Dopo il successo di romanzi (tutti usciti per Garzanti) come Eppure cadiamo felici, Tutta la vita che vuoi, Felici contro il mondo, e Più forte di ogni addio, ha pubblicato un libro particolare, Basta un attimo per tornare bambini, illustrato da Sara Di Francescantonio. È poi tornato al romanzo con Dormi stanotte sul mio cuore, e sempre per Garzanti è uscito il suo primo saggio, L'arte di sbagliare alla grande. Con Salani Galiano ha quindi pubblicato la sua prima storia per ragazzi, La società segreta dei salvaparole. Ed è poi uscito, ancora per Garzanti, il suo secondo saggio, Scuola di felicità per eterni ripetenti. Dopo il romanzo Geografia di un dolore perfetto, è tornato in libreria con Una vita non basta, e ha poi pubblicato con Salani il ultimo libro per ragazzi, L'incredibile avventura di un super-errore.
Da metà maggio 2025, per Garzanti, è in libreria il nuovo romanzo, Quel posto che chiami casa.
Qui è possibile leggere tutti gli articoli scritti da Galiano per il nostro sito, con cui collabora con costanza da diversi anni (anche con dei video per Instagram e TikTok).


